venerdì 27 novembre 2015

Pier delle Vigne non si è suicidato

Il celebre suicida dell'Inferno di Dante è in realtà morto a seguito di un'aggressione della folla...


Chi, leggendo l’Inferno di Dante non è rimasto affascinato dalla figura del suicida Pier delle Vigne? Ebbene, pare che il celebre personaggio storico vissuto alla corte di Federico II non si sia affatto suicidato, né che sia morto accecato nella fortezza di San Miniato.
Alcuni recenti studi dimostrano che, nell’aprile del 1249, giunse nella chiesetta dello spedale (no, non è un refuso, all'epoca si chiamava così, dall'antico fiorentino) di Pisa. La Chiesa di S. Andrea sorgeva all’interno delle mura della città, a ridosso del margine sud-orientale, lungo l’Arno, nel quartiere della Barattularia. Se si fosse vociferato di tentato suicidio, delle Vigne non avrebbe potuto ricevere l’estrema unzione, né essere ricoverato in luogo consacrato.
Pier delle Vigne discendeva da una famiglia né ricca, né nobile, e aveva raggiunto le più alte cariche alla corte di Federico II grazie alle sue abilità. Portavoce di Federico e Protonotaro del Sacro Romano Impero, era stato arrestato a Cremona una notte di febbraio per motivi oscuri e poi condotto al castello di Borgo San Donnino. Trasferito nella Fortezza imperiale di San Miniato, era stato accecato per ordine dell’Imperatore e, al seguito della corte, spostato verso Pisa.
Il corteo era arrivato da Via Guazzolungo e, entrando in città, l’uomo aveva dovuto sopportare le grida e gli insulti della folla, forse qualche pietra. Cieco, sessantenne, a cavallo e con i polsi legati, come avrebbe potuto mantenere l’equilibrio? Probabilmente era caduto a terra tra l’orrore e la gioia del popolo pettegolo che si era divertito a dileggiare un potente caduto in disgrazia.
Le missioni di pace presso il Papa non avrebbero dovuto far pensare a un suo tradimento; aveva condotto numerose ambascerie per difendere l’Imperatore dalle scomuniche; stimava ogni classe sociale, anche le più umili, e teneva in alta considerazione ogni razza e ogni credo, così, aveva sostituito uomini di Chiesa e collaboratori nobili con burocrati e giuristi come lui. Proprio per questo, anche se dopo la disfatta di Parma era rimasto per Federico l’unico punto d’appoggio, loschi consiglieri lo spinsero alla rovina per invidia e sete di potere.
L’Imperatore ordinò che i beni già confiscati a Pier e ai suoi parenti venissero restituiti alla Curia arcivescovile di Capua. L’infamia gettata sul suo nome finì per coprirlo del tutto e, per nasconderlo alla memoria delle generazioni a venire, il suo nome scomparve da ogni documento ufficiale; se talvolta riaffiorava da qualche carta inutile e volutamente tenuta in scarsa considerazione, era solo per essere associato alla parola “traditore.” La moglie e il figlio non poterono neppure dare degna sepoltura alle spoglie, forse cumulate nella cripta della Barattularia.
In seguito, però, pure Federico II venne colpito da un misterioso male che lo costrinse pressoché all’infermità. La segreteria fino a poco tempo prima diretta da Pier delle Vigne era passata nelle mani di Gualtiero di Ocra, sacerdote su cui correvano voci di un suo attentato nei confronti del Papa, e non era al di fuori che stesse agendo sullo spirito ormai debole dell’Imperatore, anche a discapito del suo predecessore. A delle Vigne non era andato a genio il ripristino di alcuni benefici feudali da parte di Federico II, dato che ne sarebbe stata compromessa l’immagine laica che di lui si era fatto il popolo, ma l'ipotesi dello sventato accordo col Papa appare esagerata e fuori dalla sua sfera d'azione; tanto più inverosimile quella che lo vedeva sottrarre ingenti somme di denaro dalle casse del Regno, quando semmai era il motivo contrario, a renderlo inviso a qualcuno.
Più probabile che Gualtiero raccontasse bugie a Federico II a suo vantaggio (come in precedenza era già successo in riferimento a presunti tentativi di avvelenamento) e lo aiutassero in questo il Conte di Manupello e Riccardo Conte di Caserta, che avevano subìto spesso, da parte di delle Vigne, le lamentele dell’Amministrazione Fiscale. In particolare il Conte di Caserta, poi sposo della figlia naturale di Federico, Violante, sorella del più celebre Manfredi (pure lui sopravvissuto ai secoli grazie a Dante), sembra non sia stato al di fuori degli intrighi che portarono alla morte l’Imperatore stesso, e fa parte della schiera di traditori che, nel corso della battaglia di Benevento del ’66, furono causa indiretta della morte dell’erede ‘bastardo’ Manfredi.

Bibliografia:
Renato Papale - Morte accidentale di un Logotheta (ETS)
Antonio Casertano - Un oscuro dramma politico del secolo XIII (Sveva Editrice)
Eberhard Horst - Federico II di Svevia, l'Imperatore filosofo e poeta (BUR)
Renato Russo - Federico II e le donne (Editrice Rotas)
Bianca Tragni - Il Re solo, Corrado IV di Svevia (Mario Adda Editore)
Giulio Cattaneo - Federico II di Svevia, lo specchio del mondo (Newton & Compton)
Angela Picca - Syfridina, contessa di Caserta (Edizioni Ciac)
Maria De Palo - Elena, una donna una regina, la tragica vicenda della sposa di Re Manfredi (Bastogi)
Raffaello Piracci - Elena Comneno (Il Tranesiere)
Stefania Mola - Castel del Monte (Mario Adda Editore)
Ecclesia Omium Sanctorum de Trani (Editrice Cacucci)

Nessun commento:

Posta un commento